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mercoledì 9 marzo 2011

The times they are not a-changin

http://www.youtube.com/watch?v=DoMzzXMUof8

I tempi non stanno cambiando.

Nel mio ultimo (nonché paradossalmente primo) post vi ho fatto vedere il mondo con le mie lenti. Era un articolo che il vostro caro Unemployed Padawan (che potremmo tradurre come "Disoccupato Stagista") ha scritto alcuni giorni fa per un piccolo giornale locale. Ok, ok! Non tutto era proprio uguale uguale spiccicato alla realtà, ma so già che molti di voi si sono riconosciuti nel giovane Padawan. Anzi magari hanno vissuto alcune delle avventure che ha descritto.

Avrete anche capito le caratteristiche principali del vostro gentile apprendista della forza, cioè che soffre di una terribile malattia: la disoccupazione. E cerca di porvi rimedio come può. Altro grande problema del vostro caro Unemployed è che non si integra bene con i luoghi e le persone in cui vive, specialmente quelli che vive in questi tempi, una realtà distante da tutto ciò che ha avuto e vissuto da quando ha lasciato la scuola. Un po’ come il giovane Holden, quello di Salinger. Lo avete conosciuto? Lui lo adora. Un ragazzo che non riesce a vivere i tempi, i luoghi e le persone che fanno parte della sua esistenza. Una incapacità a vivere che tutti gli uomini almeno una volta nella vita hanno provato, almeno quando erano giovani.

Ma non perdiamoci, molti gli ripetono che si lamenta troppo. Qualcuna l'ha anche lasciato dicendo che si lamentava troppo, quindi passiamo ad argomenti più interessanti.

The times they are a-changin, recitava Bob Dylan nel 1964 con uno dei sui album più belli mentre i Beatles incidevano A Hard Day's night, il mondo scopriva Per un pugno di dollari e Sergio Leone, gli Stati Uniti bombardavano pesantemente il Vietnam e per le sue strade i neri rivendicavano coi pugni il diritto di essere uomini. Chissà se la si potrebbe cantare anche oggi, mentre paesi vicinissimi bruciano, le rivoluzioni culturali e politiche avanzano portate in spalla da giovani cresciuti con internet e l’Italia puzza di una dittatura perpetuata dalla stupidità e vestita di ridicolo. Io mi ascolto Bob.

The times they are a-changin, ma nel frattempo ho trovato gente che ha la mia stessa passione e il mio stesso problema: vorrebbe lavorare, leggere, scrivere, correggere qualunque cosa abbia a che fare con una parola stampata su un fogli (o su uno schermo). Loro li trovate qui www.rerepre.org e dicono questo del “nostro” lavoro:

In passato l’editoria è stata un precoce laboratorio di forme contrattuali atipiche, oggi è un settore che come pochi altri ha eretto la precarietà a sistema. I giovani lavoratori editoriali sono per la quasi totalità instabili, assunti con contratti capestro che li obbligano a lavorare indefessamente per pochi spiccioli (i tanto chiacchierati 1000 euro al mese per molti di noi sono un miraggio). Spesso, poi, si tratta di contratti atipici irregolari che nascondono una dipendenza di fatto, ma senza le tutele che la legge garantisce ai lavoratori subordinati. Frutto di questa condizione sono lo svilimento della nostra professionalità e lo scadimento formale, e non solo, di tanta parte della produzione editoriale italiana.

Ho trovato molto autoironica la scelta di far comparire in cima a ogni pagina del sito una successione casuale di refusi scovati in libri già pubblicati. I loro obbiettivi invece, serisssimi, sono:

- opporsi all’esternalizzazione selvaggia dei servizi editoriali;

- possibilità di scelta da parte del lavoratore, e non solo dell’azienda, della modalità di collaborazione (occasionale, a progetto, ecc);

- mettere a punto un “tariffario del redattore” che stabilisca quale sia una retribuzione adeguata per tipo e carico di lavoro svolto.

Propongono anche uno sciopero degli stagisti. Ah, il vostro caro Unemplyed Padawan lo incitava quando era a Milano. Si fermerebbe un paese se davvero avvenisse. I tempi stanno cambiando?! Magari.

Al prossimo post.


Unemployed Padawan

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