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giovedì 31 marzo 2011

Mind games


http://www.youtube.com/watch?v=e7xodWzLbCo&feature=related
Oscar Peterson - You Look Good to Me

Ho bevuto tanto.

Troppo.

Di nuovo.

Da solo.

Stamattina la giornata comincia col classico mal di testa, alle 8. Mi sono addormentato col portatile in braccio, ascoltando Petrucciani sul letto, saranno state le 4. Fabio mi ha riaccompagnato da una tranquilla serata a casa di amici, conclusa non ho la più pallida idea quando, dopo che ho ripulito lo stipetto degli alcolici della padrona di casa. Non ricordo molto, ma sicuramente ho fatto qualche figura da stronzo. Quando sono depresso bevo. Posso anche immaginare che il motivo sia che mi è tornata in mente una persona in questi giorni, e il risultato è stato il ritorno di pensieri angosciosi. Mi alzo e corro al cesso a vomitare il veleno che ho messo in circolo, me lo sento tutto nelle vene. Mi duole il braccio sinistro, ho un senso di oppressione al petto e una depressione post-sbronza più forte di quella che avevo prima di ubriacarmi, insomma mi si prospetta una giornata di merda bella e buona. Osservo allo specchio le occhiaie che l’insonnia continua a scavare, di certo queste nottate non migliorano la cosa. Sembro un barbone. Occhi socchiusi, i capelli che non vogliono saperne di stare al loro posto, l’espressione da ebete e la maglietta sudata odora forte. Il tempo scorre, me lo sento scivolare addosso. Nei capelli che si fanno più radi, nella barba che aggiunge un pelo bianco ogni notte, in un amico che parla di sposarsi, in mia madre e mio padre che vedo invecchiare, in mio fratello vuole andare in un’altra città per studiare, nei miei amici che vivono lontani e vedo sempre meno spesso. In me stesso che non trovo una cosa che mi appassioni e riempia le giornate. La solita storia: senza lavoro e senza un cazzo da fare. Meglio una doccia, meglio riprendersi. Mi tocca di nuovo scrivere articoli su stronzate per 1,50 euro l’uno, una miseria, ma è l’unica sottospecie di lavoro che ho trovato finora. Mi piacerebbe stare meglio, potrei uscire un po’ nel pomeriggio. Vorrei fare un giro in bici.

Spero di avere un buona giornata.

Desidero un momento per essere contento.

Forse solo una cosa.

Voglio andare via.

venerdì 25 marzo 2011

Nonsense

http://www.youtube.com/watch?v=hNxuc0W--88&feature=player_embedded#at=16


Gatto prese da Rodi il grimaldello ucciso con il pane. Non perpetuato ma slavato. Fritto il caso della storia, poi s'accorse di esser pianto e piovve, cadendo su dal cuscino come un uomo che capisce e per questo non uscì dalla scatola. Ruppe l'acqua e sennò perché?
Ricciolo disteso sul chiodo nostalgico.

maggio 2005

martedì 22 marzo 2011

Indifferenti

http://www.youtube.com/watch?v=La2qkUTTwWw&feature=related


Indifferenti di Antonio Gramsci


Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

11 febbraio 1917

mercoledì 16 marzo 2011

Prima di dormire..

http://www.youtube.com/watch?v=RjzVbXeD_8E


..ti scrivo,
ti dedico le mie attese
e tra poco farò dei sogni.
Sognerò una canzone,
piangerò per un momento triste
o sorriderò per uno meraviglioso.
Tu sarai sveglia
ma non a pensarmi.

martedì 15 marzo 2011

Problemi di insonnia

http://www.youtube.com/watch?v=hPFeARSB4-I

Dormi Liù di Stefano Benni

Dorme la corriera
dorme la farfalla
dormono le mucche
nella stalla

il cane nel canile
il bimbo nel bimbile
il fuco nel fucile
e nella notte nera
dorme la pula
dentro la pantera

dormono i rapresentanti
nei motel dell'Esso
dormono negli Hilton
i cantanti di successo
dorme il barbone
dorme il vagone
dorme il contino
nel baldacchino
dorme a Betlemme
Gesù bambino
un po' di paglia
come cuscino
dorme Pilato
tutto agitato

dorme il bufalo
nella savana
e dorme il verme
nella banana
dorme il rondone
nel campanile
russa la seppia
sul'arenile
dorme il maiale
all'Hotel Nazionale
e sull'amaca
sta la lumaca
addormentata

dorme la mamma
dorme il figlio
dorme la lepre
dorme il coniglio
e sotto i camion
nelle autostazioni
dormono stretti
i copertoni

dormono i monti
dormono i mari
dorme quel porco
di Scandellari
che m'ha rubato
la mia Liù
per cui io solo
porcamadonna
non dormo più


sabato 12 marzo 2011

URLO di Allen Ginsberg


Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte dalla follia, morir di fame isteriche nude,
trascinandosi per le strade negre all'alba in cerca di una dose rabbiosa,
hippie dalla testa d'angelo bruciare per l'antica paradisiaca connessione alla dinamo celeste nel macchinario della notte,
che la povertà e gli stracci e gli sguardi spenti e lo sballo innalzarono fumando nella sovrannaturale oscurità di appartamenti ad acqua fredda galleggiando oltre le vette di città contemplando il jazz,
che mostrarono i loro cervelli spogli al Paradiso sotto l'El e videro angeli Maomettani barcollare sui tetti dei condomini illuminati,
che attraversarono università con occhi freddi raggianti allucinando l'Arkansas e la tragedia della luce di Blake in mezzo ai dottori della guerra,
che furono espulsi dalle accademie per pubblicare odi oscene e pazze sulle finestre del cranio,
che si rannicchiarono in stanze non rasate in mutande, bruciando i loro soldi nel cestino ed ascoltando il Terrore oltre la parete,
che furono beccati nelle loro barbe pubiche a Laredo tornando con una cintura di marijuana per New York,
che mangiarono fuoco in hotel di vernice o bevvero acquaragia a Paradise Alley, la morte, o purgarono i loro torsi notte dopo notte
con sogni, con droghe, con incubi ad occhi aperti, alcool e cazzo e palle infinite,
incomparabili strade cieche di lampo e nube vibrante nella mente saltando verso i poli di Canada e Paterson, illuminando tutto l'immobile mondo del Frattempo,
solidità di Peyote di saloni, albe cimiteriali da albero verde del giardino posteriore, ubriachezza da vino sui tetti, quartieri da vetrina di semafori lampeggianti al neon di auto rubate da sfattoni, vibrazioni d'albero e sole e luna nei ruggenti crepuscoli invernali di Brooklyn, castronerie da posacenere e gentile re luce della mente,
che si incatenarono alla metro per la corsa infinita da Battery al sacro Bronx fatti di benzedrina finché il rumore di ruote e bambini li faceva cadere vibrando con le bocche crollate e picchiati privi di cervello prosciugati del talento nella deprimente luce di Zoo,
che affondarono tutta la notte nella luce sottomarina di Bickford usciti galleggiando e sedettero tutto il pomeriggio di birra stantia nella desolazione di Fugazzi, ascoltando lo scricchiolio del destino al jukebox all'idrogeno,
che parlarono continuamente per settanta ore da parco a casa a bar a Bellevue a museo al Ponte di Brooklyn,
un battaglione perduto di conversatori platonici saltando giù dalla predella di porte anti-incendio da davanzali dell'Empire State fuori dalla luna,
chiacchiericciando gridando vomitando sussurrando fatti e ricordi ed aneddoti e calci nelle pupille e shock di ospedali e prigioni e guerre,
interi intelletti evacuati in perfetta rimembranza per sette giorni e notti con occhi brillanti, carne per la Sinagoga gettata sulla strada,
che svanirono nel nulla Zen New Jersey lasciando una scia di ambigue cartoline dell'Atlantic City Hall,
soffrendo febbri orientali e trita-ossa di Tangeri ed emicranie della Cina in crisi d'astinenza nella stanza senza mobili di Newark,
che vagarono e vagarono a mezzanotte lungo i binari chiedendosi dove andare, ed andarono, senza lasciare cuori spezzati,
che accesero sigarette in vagoni merci vagoni merci vagoni merci baccagliando nella neve verso fattorie solitarie nella notte nonna,
che studiarono Plotino Poe San Giovanni della Croce telepatia e cabala bop perché i cosmi vibravano istintivamente sotto i loro piedi in Kansas,
che vagarono solitari per le strade dell'Idaho cercando angeli indiani visionari che fossero angeli indiani visionari,
che pensarono di essere solo pazzi quando Baltimora luccicò in un'estasi sovrannaturale,
che saltarono in limousine col Cinese di Oklahoma dietro l'impulso della pioggia di paese da lampione di mezzanotte invernale,
che si sdraiarono affamati e solitari per Houston cercando jazz o sesso o zuppa, e seguirono lo Spagnolo brillante per disquisire di America ed Eternità, un'impresa disperata, e così si imbarcarono per l'Africa,
....

mercoledì 9 marzo 2011

The times they are not a-changin

http://www.youtube.com/watch?v=DoMzzXMUof8

I tempi non stanno cambiando.

Nel mio ultimo (nonché paradossalmente primo) post vi ho fatto vedere il mondo con le mie lenti. Era un articolo che il vostro caro Unemployed Padawan (che potremmo tradurre come "Disoccupato Stagista") ha scritto alcuni giorni fa per un piccolo giornale locale. Ok, ok! Non tutto era proprio uguale uguale spiccicato alla realtà, ma so già che molti di voi si sono riconosciuti nel giovane Padawan. Anzi magari hanno vissuto alcune delle avventure che ha descritto.

Avrete anche capito le caratteristiche principali del vostro gentile apprendista della forza, cioè che soffre di una terribile malattia: la disoccupazione. E cerca di porvi rimedio come può. Altro grande problema del vostro caro Unemployed è che non si integra bene con i luoghi e le persone in cui vive, specialmente quelli che vive in questi tempi, una realtà distante da tutto ciò che ha avuto e vissuto da quando ha lasciato la scuola. Un po’ come il giovane Holden, quello di Salinger. Lo avete conosciuto? Lui lo adora. Un ragazzo che non riesce a vivere i tempi, i luoghi e le persone che fanno parte della sua esistenza. Una incapacità a vivere che tutti gli uomini almeno una volta nella vita hanno provato, almeno quando erano giovani.

Ma non perdiamoci, molti gli ripetono che si lamenta troppo. Qualcuna l'ha anche lasciato dicendo che si lamentava troppo, quindi passiamo ad argomenti più interessanti.

The times they are a-changin, recitava Bob Dylan nel 1964 con uno dei sui album più belli mentre i Beatles incidevano A Hard Day's night, il mondo scopriva Per un pugno di dollari e Sergio Leone, gli Stati Uniti bombardavano pesantemente il Vietnam e per le sue strade i neri rivendicavano coi pugni il diritto di essere uomini. Chissà se la si potrebbe cantare anche oggi, mentre paesi vicinissimi bruciano, le rivoluzioni culturali e politiche avanzano portate in spalla da giovani cresciuti con internet e l’Italia puzza di una dittatura perpetuata dalla stupidità e vestita di ridicolo. Io mi ascolto Bob.

The times they are a-changin, ma nel frattempo ho trovato gente che ha la mia stessa passione e il mio stesso problema: vorrebbe lavorare, leggere, scrivere, correggere qualunque cosa abbia a che fare con una parola stampata su un fogli (o su uno schermo). Loro li trovate qui www.rerepre.org e dicono questo del “nostro” lavoro:

In passato l’editoria è stata un precoce laboratorio di forme contrattuali atipiche, oggi è un settore che come pochi altri ha eretto la precarietà a sistema. I giovani lavoratori editoriali sono per la quasi totalità instabili, assunti con contratti capestro che li obbligano a lavorare indefessamente per pochi spiccioli (i tanto chiacchierati 1000 euro al mese per molti di noi sono un miraggio). Spesso, poi, si tratta di contratti atipici irregolari che nascondono una dipendenza di fatto, ma senza le tutele che la legge garantisce ai lavoratori subordinati. Frutto di questa condizione sono lo svilimento della nostra professionalità e lo scadimento formale, e non solo, di tanta parte della produzione editoriale italiana.

Ho trovato molto autoironica la scelta di far comparire in cima a ogni pagina del sito una successione casuale di refusi scovati in libri già pubblicati. I loro obbiettivi invece, serisssimi, sono:

- opporsi all’esternalizzazione selvaggia dei servizi editoriali;

- possibilità di scelta da parte del lavoratore, e non solo dell’azienda, della modalità di collaborazione (occasionale, a progetto, ecc);

- mettere a punto un “tariffario del redattore” che stabilisca quale sia una retribuzione adeguata per tipo e carico di lavoro svolto.

Propongono anche uno sciopero degli stagisti. Ah, il vostro caro Unemplyed Padawan lo incitava quando era a Milano. Si fermerebbe un paese se davvero avvenisse. I tempi stanno cambiando?! Magari.

Al prossimo post.


Unemployed Padawan

martedì 8 marzo 2011

Tempi migliori


“Sveglia, bamboccione!”

Mamma alza la tapparella per far entrare la luce e costringermi a un brusco risveglio. Ha ragione. Guardo il display del cellulare che tengo vicino al comodino, tra l’ultimo libro di Philip Roth e i fumetti di Dylan Dog: mezzogiorno passato, dovrei alzarmi.

Sono trascorsi meno di due mesi da quando sono tornato a casa, ma mi sembrano anni. Gli ultimi due li ho passati lontano dalla Sicilia. Ora mi ritrovo di nuovo a Milazzo, a casa coi miei a trascorrere le giornate lamentandomi dell’attesa di tempi migliori.

Questa città è vecchia. Pochi ragazzi della mia età, qualche studente vicino alla laurea (almeno così dice), qualcuno nemmeno interessato a finire, altri lavorano. Tutti vestiti uguali, giubbotto nero lucente, tanto gel a fissare i capelli, discoteca nel fine settimana e la televisione come argomento principale delle loro conversazioni. La novità risiede nell’apertura del nuovo negozio o nell’ultimo modello di macchina in commercio. Molti di loro lavorano come commessi oppure sono figli di chi il lavoro può passarlo alla prossima generazione senza problemi, a patto che questa generazione sia sangue del suo sangue o fortemente raccomandata. Per quanto sembra a me, fortemente ignorante e priva di ogni ambizione.

Mi alzo e rimango in pigiama, accendo il computer per controllare le ultime mail: ventitré messaggi, tutti di case editrici a cui ho chiesto lavoro e mandato il curriculum. Nessuna positiva. Dicono più o meno tutte “grazie, ma non ci serve personale” o “prederemo in considerazione la sua candidatura”. Bisogna attendere tempi migliori.

Sono passati pochi mesi, ma mi sembrano anni. Ne ho fatte di cose prima di tornare a casa. Ho svolto i miei studi l’università a Palermo e lì vissuto, ho partecipato al Progetto Erasmus per svolgere alcuni mesi di studio all’estero in Olanda, ho conosciuto ragazzi da tutta Europa, il mio coinquilino mi ha insegnato lo spagnolo e io a lui un po’ di italiano. Ho imparato a cucinare davvero bene e mi sono scoperto un perfetto promotore e conoscitore della mia terra per gli stranieri. Mi sono laureato col massimo dei voti e allora ho deciso di partire per l’Inghilterra per migliorare il mio inglese. Sono stato in Austria dalla mia (ormai ex) ragazza anche lei in Erasmus, così ho potuto imparare un po’ di tedesco da lei e i suoi nuovi amici. Ho scelto di perfezionarmi con un master a Roma. Ho vissuto l’aria antica e frenetica della capitale, ho avuto dei nuovi compagni di studi con cui condividevo il sogno di lavorare nella redazione di una casa editrice. Come Elio Vittorini, immaginavamo di scoprire nuovi talenti letterari. Leggere, leggere e ancora leggere: romanzi, inchieste sulla mafia, saggi storici, biografie di vite importanti, imparare qualcosa ogni giorno e mettere in quei libri qualcosa di nostro. Allora ho cercato di lavorarci davvero in una casa editrice, a Milano, ovviamente come tirocinio del master di Roma, ovviamente col sostegno dell’università, ovviamente gratis. Perché i tirocinanti mica possono essere pagati, anche se stanno in ufficio nove ore al giorno e sono bravi quanto i dipendenti. Ovviamente per tutto questo finanzieranno mamma e papà: gli studi, l’affitto, i treni, la spesa… Ovviamente non mi assumeranno. “Siamo al completo, non ci serve personale. Ciao e in bocca al lupo” e una settimana prima che finissi il mio stage facevano i colloqui per prendere un altro stagista. Ovviamente gratis.

E allora? Si torna a casa! Ad aspettare tempi migliori. “Lavoro non ce n’è”, me lo dice anche papà. “Datti da fare, cerca! Finché non sarai sistemato e guadagnerai abbastanza, torni a casa”. Ho firmato il mio contratto a tempo indeterminato con la precarietà di questa generazione. Posso stare con Mamma, che sembra pure contenta di avermi sempre tra i piedi. Prima mi vedeva per qualche giorno una volta ogni tre mesi, estate esclusa.

Faccio qualche lavoretto per non pesare troppo. Scrivo articoli per una rivista web, scatto foto per un negoziante che vuole farsi pubblicità, do ripetizioni a qualche studentello poco diligente. Mi guadagno quei quattro soldi che mi permettono la birra il sabato sera, un maglione nuovo e un biglietto low cost (ma se davvero low) per andare a trovare gli amici, molti andati via in altri paesi d’Europa per lavorare, portare fuori le loro competenze e i loro entusiasmi di ragazzi. Questa nazione si svuota, chi può va a lavorare fuori dall’Italia. Gli altri, quelli che scelgono di restare, stanno ad aspettare tempi migliori. Forse ho scelto male.

Apro il sito di un giornale di informazione. Il presidente attacca la scuola pubblica, ancora una volta. Posto su facebook i suoi deliri e gli aggiungo un commento in inglese per far capire anche ai miei amici stranieri, tanto per far ridere i miei compagni di rete. Uno di loro mi risponde con il video in cui il primo ministro suggerisce a una ragazza, che chiedeva come trovare lavoro, di sposare un uomo ricco, un altro con quello del ministro che disse che i giovani italiani sono dei “bamboccioni”: “Farei una legge per obbligare i ragazzi a uscire di casa a 18 anni. Vuol dire libertà per lui, per i genitori, vuol dire la vita”. Mi viene da pensare, e se i genitori non mi sostenessero più?

Sono un bamboccione. Non ho un lavoro decente e vivo sulle spalle dei miei. Mia madre mi rifà il letto, lava, cucina. E io? Aspetto tempi migliori.