
"Non si leggono più i tuoi deliri? Non si narra più delle tue sfighe, giovane Padawan? E le lagne che servivano a sentirti compatito e accettato?"
Avventure stellari di un giovane Padawan alla ricerca dell'età adulta (e di un lavoro). Con l'aiuto della forza..
Ho bevuto tanto.
Troppo.
Di nuovo.
Da solo.
Stamattina la giornata comincia col classico mal di testa, alle 8. Mi sono addormentato col portatile in braccio, ascoltando Petrucciani sul letto, saranno state le 4. Fabio mi ha riaccompagnato da una tranquilla serata a casa di amici, conclusa non ho la più pallida idea quando, dopo che ho ripulito lo stipetto degli alcolici della padrona di casa. Non ricordo molto, ma sicuramente ho fatto qualche figura da stronzo. Quando sono depresso bevo. Posso anche immaginare che il motivo sia che mi è tornata in mente una persona in questi giorni, e il risultato è stato il ritorno di pensieri angosciosi. Mi alzo e corro al cesso a vomitare il veleno che ho messo in circolo, me lo sento tutto nelle vene. Mi duole il braccio sinistro, ho un senso di oppressione al petto e una depressione post-sbronza più forte di quella che avevo prima di ubriacarmi, insomma mi si prospetta una giornata di merda bella e buona. Osservo allo specchio le occhiaie che l’insonnia continua a scavare, di certo queste nottate non migliorano la cosa. Sembro un barbone. Occhi socchiusi, i capelli che non vogliono saperne di stare al loro posto, l’espressione da ebete e la maglietta sudata odora forte. Il tempo scorre, me lo sento scivolare addosso. Nei capelli che si fanno più radi, nella barba che aggiunge un pelo bianco ogni notte, in un amico che parla di sposarsi, in mia madre e mio padre che vedo invecchiare, in mio fratello vuole andare in un’altra città per studiare, nei miei amici che vivono lontani e vedo sempre meno spesso. In me stesso che non trovo una cosa che mi appassioni e riempia le giornate. La solita storia: senza lavoro e senza un cazzo da fare. Meglio una doccia, meglio riprendersi. Mi tocca di nuovo scrivere articoli su stronzate per 1,50 euro l’uno, una miseria, ma è l’unica sottospecie di lavoro che ho trovato finora. Mi piacerebbe stare meglio, potrei uscire un po’ nel pomeriggio. Vorrei fare un giro in bici.
Spero di avere un buona giornata.
Desidero un momento per essere contento.
Forse solo una cosa.
Voglio andare via.
Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
11 febbraio 1917